foto Giuliano Guida |
Questo treno deve ripartire
Stefano è di Tarvisio ha 23 anni e fa il macchinista, capiamo già dopo poche falcate sulla massicciata che sarà piacevole avere la sua compagnia. Dopo aver scoperto del nostro progetto ha deciso di unirsi e di percorrere con noi i restanti chilometri.
pubblicato il 26 giugno 2015 su "La Città Futura" settimanale on line
Stefano arriverà a
momenti. Da questo secondo giorno una piacevole novità. Mentre lo
aspettiamo fuori la stazione di Budoia incrociamo Sabino, operaio
pugliese di una ditta che costruisce distributori di benzina. “La
salvaguardia delle piccole stazioni è fondamentale, non sono rami secchi
ma centri importanti per lo spostamento di lavoratori e per visitare i
paesini. Quando ci sono i collegamenti c’è tutto”. Sono queste le parole
che ci lascia dopo essersi ricordato di aver letto di noi sul giornale.
Anche nella sua città natale è successo qualcosa di simile, i treni fra
Canosa e Barletta sono stati eliminati e così più di trentamila persona
si sono ritrovate senza la possibilità di muoversi.
Stefano è di Tarvisio
ha 23 anni e fa il macchinista, capiamo già dopo poche falcate sulla
massicciata che sarà piacevole avere la sua compagnia. Dopo aver
scoperto del nostro progetto ha deciso di unirsi e di percorrere con noi
i restanti chilometri. E’ un appassionato di ferrovia e fa parte di
un’associazione che si pone l’obiettivo della salvaguardia e del
mantenimento in buono stato del raccordo ferroviario, chiuso dal 1998,
Carnia – Tolmezzo per un futuro utilizzo con carrelli a pedale e a leva o
con mezzi ferroviari storici.
Ai nostri lati il
paesaggio si alterna in un ritmo che sembra accompagnare i nostri passi.
Graziose case con giardini ed orti, un campo di golf i cui giocatori ci
sdegnano con sguardi distratti, gente a cavallo che percorre la pista
ciclabile fvg3 che si distende parallela ai binari attraversando tutto
l’arco pedemontano friulano, territorio ricco di cultura, storia e arte
secolare. Caselli, numerosi caselli, in cui una volta risiedeva il
cosiddetto casellante, colui che aveva il compito di chiudere il
passaggio a livello, figura soppressa con la tecnologia e
l’automatizzazione. Alcuni li vediamo belli ristrutturati, qualcun altro
mostra tutto il tempo che ha, pochi sono chiusi. Fortunatamente,
terminato il loro scopo iniziale, questi edifici sono rimasti come
abitazioni di ferrovieri od ex ferrovieri ma anche di privati che hanno
acquistato questo patrimonio di cui le Ferrovie si stanno disfacendo.
Ogni tanto diventano l’occasione per fare due chiacchiere come con la
signora che stende panni in uno di questi graziosi stabili. “Una volta
lo usavo il treno, ci andavo a Sacile, ora prendo la macchina” o con la
coppia che meravigliata e perplessa ci chiede se stiamo facendo una
penitenza o qualcosa del genere perché per loro “il treno non è utile”.
Km 16 Aviano,
cittadina conosciuta in tutta Italia per la presenza della base
aeronautica della Nato e di un vasto contingente di truppe americane, è
la prima stazione odierna. Due binari, un discreto scalo merci,
fabbricato viaggiatori in condizioni accettabili, obliteratrici nuovo
modello e sala del dirigente movimento che si intravede dalle finestre e
che ti proietta nel passato. La vegetazione ha però ripreso il
sopravvento sui marciapiedi e sull’area antistante l’edificio. Più
avanti il raccordo con la zona sotto contro statunitense dove una volta
arrivavano e stazionavano i numerosi convogli militari, non erano pochi
infatti i treni merci destinati alla base. Ci refrigeriamo alla
fontanella e due signore con i rispettivi consorti che hanno
parcheggiato nel piazzale entrano anche loro per rinfrescarsi. Sono qui
per il mercatino dell’antiquariato e restano un po’ indifferenti e
increduli del nostro andare. Ai loro occhi sembriamo dei pazzi, forse
anche dei visionari e ci assicurano che “è molto meglio l’automobile
perché il treno è costoso”, ci lasciano con l’invito a provare
assolutamente la pizza con il kebab dagli albanesi e con qualche sfogo
razzista contro gli stranieri che sempre più vengono nel nostro paese.
Ripartire con il sole
alto non è proprio il massimo, ma non possiamo aspettare di certo le ore
serali per rimetterci in marcia. Case e poi vigneti, campi coltivati e
qualche pascolo, la presenza umana è ancora visibile ai nostri margini,
la parte più selvaggia della tratta la troveremo più a monte. La fermata
di Marsure è un piccolo rudere in stato di abbandono, il servizio
passeggeri era già stato sospeso anni orsono e la vegetazione ha ripreso
il suo corso. La porta è aperta ed entriamo nel piccolo casello
probabilmente trasformato successivamente in fermata, quando la linea
vantava un lustro maggiore. Un po’ di oggetti sparsi qua e là, qualche
vestito buttato, immondizia, alcuni divani, un calendario del 1996 e un
libro sulle osterie italiane.
Sulla nostra sinistra
compare al km 22 una bella costruzione di archeologia industriale che
cattura la nostra attenzione. 1908 l’iscrizione che reca sulla facciata
la ex centrale idroelettrica di Giais. La sete ed il caldo ci spingono a
suonare alla porta di un bel casello che sorge sulla sponda di un
ruscello con un giardino curatissimo, un luogo quasi paradisiaco.
Giuliano ci indica la fontanella, gli faccio un paio di domande e
capisco subito che ha un amore viscerale per la ferrovia, gli chiedo
così cinque minuti liberi e lui si scapicolla giù. Dopo qualche battuta
siamo già seduti nel suo incredibile soggiorno. E’ un pozzo di
conoscenza della linea avendo vissuto da sempre qui, la nonna infatti fu
la titolare del casello poi sostituita dalla zia. La sua vita è solcata
completamente dal ritmo dei treni di cui è profondo conoscitore e
grande appassionato. Che la soppressione della circolazione la viva come
un fatto prioritario e personale lo si capisce dalle sue parole molto
chiare e dirette. “Questo treno deve ripartire, perché il treno è vita”.
E’ scettico verso la possibilità della riapertura perché consapevole
che la questione è politica e che gli interessi della gomma sovrastano
quelli del ferro ma non si da per vinto. “Molti pendolari, studenti ed
insegnanti la utilizzavano e poi potrebbe incentivare il turismo
considerata la bellezza della zona e la pista ciclabile che la
costeggia. Infine non va dimenticato il trasporto merci, qui
praticamente in ogni comune ci sono zone industriali ed almeno due
grandi stabilimenti hanno dei raccordi”. Il tono della sua voce lascia
trasparire passione, delusione, speranza. Ci fa capire che la frana ed
il conseguente svio del Minuetto è stato solo un pretesto per dare il
colpo di grazie alla già agonizzante linea, il sipario di una tragedia
annunciata. Migliaia di euro vengono spesi per abbattere i caselli e lo
stesso studio di fattibilità commissionato dalla regione sembri
evidenziare dei costi di gestione così alti da far rinunciare
all’affidamento, costi che appaiono però sproporzionati. “Io sono figlio
della ferrovia, mia madre per partorirmi fermò proprio qui il primo
treno che passava” e poi “ fu un piacere veder transitare il treno
internazionale Vienna-Roma deviato su questa tratta a causa di lavori
sulla principale, trainato da due locomotori in testa ed uno in coda,
che emozione”. Oltre un’ora trascorsa nella sua graziosa casa, in realtà
un piccolo museo ferroviario, che ci sono apparsi solo pochi istanti.
Ripartiamo ma non prima di aver accettato la cortese proposta di
Giuliano di essere suoi ospiti per la notte, avendo così l’occasione di
riprendere più tardi l’interessante conversazione.
Senza
gli zaini è tutto un altro passo e così percorriamo i 4 chilometri
restanti in breve tempo. La stazione di Montereale Valcellina tappa
odierna è composta da due binari, un terzo di cui se ne può immaginare
la traccia deve essere stato rimosso negli anni, un discreto scalo merci
ed un tronchino di ricovero per mezzi d’opera o carri. Il giardino è
curato e ben tenuto come l’edificio ormai vuoto. Qui ci aspetta Giorgia e
gli altri ragazzi del team A7. Sono un gruppo di sei giovani architetti
conosciutosi durante gli studi all’università di Trieste ed hanno
elaborato un progetto per il rilancio della ferrovia. Tutto è iniziato
qualche stagione fa proprio con la tesi di laurea di Giorgia. Secondo
loro bisogna ripartire dalla valorizzazione e riattivazione del
territorio ed investire su un turismo sostenibile, un turismo lento che
possa attrarre gente e creare occupazione. Affrontano il problema della
sospensione del traffico rotabile da un punto di vista diverso. “Gli
spazi ferroviari come stazioni e caselli vanno salvaguardarti e
valorizzati destinandoli ad uso della cittadinanza o per piccole
attività economiche. Si possono creare parchi giochi per bimbi,
foresterie, centri di assistenza per ciclisti e bici, ma anche campeggi o
luoghi di aggregazione per le associazioni”. Se si fa vivere il
territorio si crea un bacino di utenza che giustifica anche l’esistenza
di una ferrovia che viene così a trovarsi in un sistema integrato più
ampio, in cui il treno rappresenta una tappa necessaria. La loro idea è
come un salvagente che hanno voluto lanciare prima che la linea muoia
del tutto. “Purtroppo manca una cultura dell’uso del treno e dei mezzi
alternativa. Abbiamo molte bellezze da queste parti oltre che degli
itinerari cicloturistici, dobbiamo solo creare un’offerta ben
strutturata ed un’ospitalità adeguata, a quel punto sarà evidente a
tutti la necessità di avere un collegamento su rotaia”. Ermes, l’unico
ad essere di questa località, mentre ci allontaniamo ci ricorda di
quando da bambino veniva qui a giocare con il figlio del capostazione ed
insieme si arrampicavano sui carri in sosta.
pubblicato il 26 giugno 2015 su "La Città Futura" settimanale on line
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