foto di Giuliano Guida |
Incontri indimenticabili sulle rotaie
Continua il viaggio sui tratti di
ferrovia abbandonata. Tra tante sorprendenti scoperte e la conferma
della mancanza di volontà politica di recupero e valorizzazione della
ferrovia. Anche una frana è solo un’occasione, un pretesto in più per
chiudere una linea. Già da prima era in atto il processo di svuotamento e
dismissione.
pubblicato il 4 luglio 2015 su "La Città Futura" settimanale on line
Giuliano ci accompagna alla stazione di Montereale dopo la notte trascorsa nel suo storico casello con mille aneddoti riguardanti la ferrovia. Riprendiamo la marcia. Percepiamo immediatamente l’immensità dell’opera architettonica davanti ai nostri occhi. L’imponente viadotto sul torrente Cellina è composto da 12 arcate con alla base colonne di pietre e alla sommità dei mattoncini rossi. Alla nostra sinistra incombono le Dolomiti friulane e alla destra un più moderno viadotto stradale permette l’attraversamento del fiume alle automobili. La nostra presenza è visibile a chilometri di distanza. Nascosto su una piccola altura, all’altra estremità del ponte, Stefano scatta con un teleobiettivo qualche fotografia particolare e suggestiva.
Più avanti ci
raggiunge per conoscerci. Stefano cinquantenne di Travesio appassionato
di arte fotografica e di ferrovia ci accoglie con un sorriso e un
ringraziamento per quello che stiamo facendo. Una frase che abbiamo già
sentito e continueremo a sentire più volte nel corso di questo viaggio e
che ogni volta ci lascerà sempre orgogliosi ma anche increduli. Saremo
noi invece, come con molti altri, a ringraziarlo per tutto quello che
farà per noi. Sarà la nostra guardia del corpo a distanza, sostenendoci,
trovandoci un alloggio ed infine invitandoci a cena a casa sua. “La
ferrovia negli ultimi anni non funzionava bene, era poco frequentata
perché gli orari non erano comodi. Nessuno però ha mai fatto nulla per
incentivarne l’uso”. La zona ha un grande bacino di utenza, ci sono
ciclisti, si fa parapendio, si tengono eventi sportivi mondiali e
nazionali eppure la possibilità di giungere qui in treno non viene
preventivata né tanto meno impiegata.” Una volta veniva molto utilizzato
da studenti e pendolari, infatti sono proprio questi ultimi ad essere i
più agguerriti per la riapertura. Io stesso lo usavo ai tempi della
scuola, ho fatto incontri indimenticabili, ancora oggi ho amici
conosciuti sulla littorina”. Ci fa intendere che la frana poteva essere
prevista e che il deragliamento è apparso ben più grave di quello che in
realtà è stato, come se qualcuno accogliesse quel tragico evento come
una grazia divina. “Ci sono molte fabbriche e le merci, come indicano le
direttive europee, dovrebbero essere trasportate su ferro”. Crede che
il treno possa avere una funzione se si adotta una strategia integrata e
differenziata, al servizio sia della popolazione locale che dei
turisti, delle merci e per eventi sportivi e culturali. E’ consapevole
che sarà dura raggiungere l’obiettivo perché in ballo ci sono forti
interessi contrari ma tanta gente, comprese le amministrazioni locali,
si stanno impegnando. Il suo è un velato ottimismo, una sana speranza.
“Ogni anno, almeno per una volta, con un gruppo di amici prendiamo il
treno, solo per il piacere di farlo e di ricordare gli anni passati. Ci
fu quella volta che arrivati a Sacile restammo bloccati lì perché il
ritorno fu soppresso e così fummo costretti ad un ritorno con mezzi di
fortuna”.
Casette basse, orti
coltivati e prato curato, passaggi a livello, tutto lascia pensare che
siamo in arrivo a Maniago. La stazione è composta da tre binari, uno
scalo merci, un vecchio serbatoio idrico per le locomotive a vapore,
l’edificio un po’ cadente e diverse erbacce. Nel complesso ci appare
meno curata delle precedenti. Un signore davanti a noi supera i binari,
lo fermiamo e ci guida verso la piazza del comune. “Poche le corse al
giorno ed in orari sbagliati, impossibile prendere le coincidenze per
Udine e Pordenone. Prima quando i collegamenti erano buoni lo prendevo,
ora ci sono solo le corriere ma i tempi di percorrenza sono più lunghi”.
Maniago è una
cittadina di 12 mila abitanti famosa per la produzione delle coltellerie
che fin dal medioevo furono prodotte qui sia per la posizione
geografica che per la presenza di corsi d’acqua. Nel ‘900 la produzione
artigianale viene sostituita da quella industriale, oggi sono parecchie
le piccole e medie aziende. Il sindaco ci accoglie nel suo ufficio al
primo piano. “Questa linea deve essere concepita come parte di una rete
integrata di trasporti con collegamenti per tutta la regione e divenire
una sorta di metropolitana leggera per Pordenone”. Ci parla dello studio
di fattibilità commissionato dalla regione e della sua più grande
preoccupazione, cioè che la Sacile-Gemona possa fare la fine della
Pinanzo-Casarsa chiusa da trent’anni ed inutilizzata, un patrimonio
pubblico perso. “Sono molte le scuole che sorgono lungo la pedemontana e
quindi tanti i ragazzi che si spostano da un comune all’altro. Erano
molti quelli che prendevano il treno ma ora con i bus i tempi sono
maggiori e così sempre più si dirigono a Pordenone creando una vera
emorragia per il territorio. Poi ci sono le tante aziende dei coltelli
che hanno la necessità di trasportare i loro articoli destinati per
l’80% all’esportazione. Abbiamo anche la pista ciclabile fvg 3 e la
formula treno + bici potrebbe attrarre turisti”. Ci salutiamo con un
ricordo personale, “la littorina era un fantastico luogo di conoscenza e
socializzazione”.
Riprendiamo il cammino
sotto un clima torrido ed afoso, è ancora diversa la strada ferrata da
calpestare. Un esteso impianto fotovoltaico a terra sorge appena fuori
la cittadina poi una grandissima fabbrica. Il cementificio Zillo, nel
territorio comunale di Fanna, ha al suo interno un esteso scalo merci
composto da diversi binari, peccato che il raccordo sia stato tagliato
all’altezza del cancello di separazione con la ferrovia e lo scambio
rimosso dal corretto tracciato. Sembra che l’opera sia stata finanziata
con soldi pubblici e qualcuno dubita anche che sia mai entrata in
funzione. Sarebbe servita ad eliminare i circa 100 camion al giorno che
portavano i prodotti, oggi ridotti grosso modo a 30, diminuendo così
l’inquinamento ed i rischi connessi alla gomma.
La vegetazione si fa
leggermente più fitta ma questo non ci impedisce di andare avanti. La
stazione di Fanna-Cavasso, che sembrerebbe più una fermata, è composta
da un solo binario, l’erba è alta anche se il fabbricato appare decente e
per la prima volta non troviamo una fontanella ad accoglierci. Usciamo
così alla ricerca di acqua. La cortese signora del civico 29 ci apre il
cancello della sua casa e, mentre facciamo rifornimento vicino a un
rigoglioso orto, iniziamo a chiacchierare. “Il treno lo usavo per
muovermi, quando i collegamenti erano congeniali andavo dai miei suoceri
a Mestre, negli ultimi anni invece era impossibile prendere una
coincidenza e così adoperavo la macchina”.
Il cippo chilometrico
segna 38, siamo a metà percorso ed un albero di medie dimensioni è
caduto sulle rotaie sbarrando l’intera sagoma. Siamo costretti a
scavalcarlo. Il fiume Meduno lo oltrepassiamo grazie ad un ponte che
ripropone in scala ridotta quello della mattina, subito dopo, appena la
linea corre in trincea, giungiamo al famoso punto incriminato. E’ qui
che alle ore 18.00 del 6 luglio 2012 avvenne lo smottamento, dovuto alle
forti piogge, che provocò lo svio del Minutto 6046 e la sospensione
della circolazione. L’argine è stato completamente rifatto con pietroni e
con un muretto di cemento, per circa 100 metri sono state rimosse le
traverse e le rotaie (probabilmente per consentire l’opera di recupero
del materiale rotabile) che ora si trovano depositate ai lati del sedime
pronte per essere riposizionate. La stazione di Meduno la raggiungiamo
in breve tempo. I marciapiedi sono pieni di erba alta, i due binari non
sono più collegati fra loro e lo scambio sembra essere stato rimosso di
recente, il fabbricato non è in cattive condizioni, appare addirittura
intonacato, infine notiamo i resti di un casotto demolito da poco.
Giusto il tempo di una pausa e si rivà, spediti verso la fine della
tappa. Al km 44 un casello in stato di abbandono e completamente avvolto
dalla vegetazione cattura la nostra attenzione, poi l’entrata a
Travesio che percepiamo essere stata una delle stazioni principali
composta da due binari e tronchino di ricovero, scalo merci e piano
caricatore ed una discreta estensione in lunghezza.
Un vero e proprio
comitato di accoglienza ci aspetta sul marciapiede. Insieme a Stefano ed
il figlio Francesco troviamo il sindaco con indosso la fascia
tricolore, un ex assessore e un ferroviere che vive nell’edificio. La
conversazione prende una lunga ed interessante piega. Travesio è un
piccolo comune di 1500 abitanti, ottima base per visitare le montagne e
fare escursioni, vanta inoltre una frazione inserita fra i borghi più
belli d’Italia. “La ferrovia è un patrimonio pubblico pagato dai
cittadini e se le FS non vogliono utilizzarla devono riconsegnarla ai
comuni” ci dice il sindaco che consapevole dei costi di gestione crede
sia necessario creare un’interazione fra i vari mezzi di trasporto al
fine di garantire il servizio sia agli abitanti che ai turisti. “La
frana è stata solo l’occasione, il pretesto per chiudere la linea, se
non ci fosse stata sarebbe avvenuta lo stesso, magari piano piano ma già
era in atto un processo di svuotamento e dismissione”. Gli interessi in
gioco non sono pochi, la stessa società che effettua il trasporto su
gomma è partecipata dalla provincia e da tutti i comuni che ottengono
dividendi sugli utili. “E’ inutile spendere soldi per i borghi se poi
diviene impossibile raggiungerli, la Regione dovrebbe investire
maggiormente sui comuni di montagna”. Anche lui ci fa notare che gli
studenti, principali utilizzatori, giungevano a scuola in ritardo a
causa delle partenze non proprio in orari confacenti. “Da bambino andavo
da mia nonna a Castelnuovo e nonostante fosse vicinissimo a me sembrava
un viaggio interminabile; poi ricordo la comodità e la libertà che
offriva muoversi con il treno”.
Il dipendente di RFI è
un impiegato degli uffici di Udine, sindacalista della Cisl ed ex
ausiliario proprio nella stazione di Travesio, ci fornisce qualche
prezioso dato. “Nel 1983 lavoravano qua 110 ferrovieri e passavano 21
treni al giorno. Poi gli investimenti tecnologici, la linea trasformata
in una a gestione remota con DCO e CCT, montate le sbarre ai passaggi a
livello, siamo rimasti solamente in 12 a lavorarci”. Prosegue con una
difesa a spada tratta dei vertici aziendali adducendo motivazioni per
cui la linea era ormai inutilizzata ed uno spreco di risorse, che la
manutenzione si aggira sul milione di euro e che c’è la disponibilità
alla riapertura se la Regione sborsa la metà dell’importo. Una posizione
che fatichiamo a comprendere considerato anche il ruolo sindacale, in
teoria in difesa dei lavoratori. E non afferrare che una dismissione
equivale a meno posti di lavoro appare una faccenda grave.
Francesco si sta
laureando in scienze tecniche e turismo culturale presso l’Università di
Udine e la sua tesi non poteva che non affrontare la vicenda della
Sacile-Gemona offrendo una possibile soluzione. “Un anno fa ho
partecipato ad un incontro proprio sul tema della ferrovia e sul
rilancio del territorio e da lì mi è venuta l’idea e l’incoraggiamento”.
La sua tesi è molto facile, bisogna rendere la linea utilizzabile per
fini turistici ed il treno non deve essere un semplice mezzo di
trasporto ma un richiamo vero e proprio, cioè deve divenire una parte
dell’offerta. Questo il punto di partenza per sviluppare una serie di
idee e progetti come gli eventi culturali da tenersi nelle ex stazioni o
un treno vivente su cui qualcuno racconta la storia della ferrovia e
delle zone attraversate. “Non sono un appassionato, pensate che ci ho
viaggiato sopra solo da piccolo quando mi ci portava mio padre”.
Nel frattempo ci ha raggiunto anche
Enrico di Pordenone. Poche parole e si capisce subito che è un profondo
conoscitore, esperto ed appassionato di ferrovia, un personaggio
eclettico, simpatico e cordiale che mette sentimento in quello che fa.
Fra i promotori del Comitato Gemona-Sacile e membro del gruppo 835,
associazione di cultori del modellismo ferroviario a Vapore Vivo. Poche
battute e mette subito le cose in chiaro. “Lo studio di fattibilità è
uno spreco di soldi inutili” ed ancora “come Comitato abbiamo lanciato
nel novembre del 2013 una staffetta per la riapertura che al grido di
Trenitalia ridacci il nostro treno è partita da Gemona e ha toccato
tutte le stazioni coinvolgendo numerosi cittadini e tutti i comuni
attraversati dal tracciato”. E’ un fiume in piena, le sue parole ci
riempiono di informazioni e dati di cui ignoravamo l’esistenza.
Scopriamo così che, oltre le due di cui siamo a conoscenza, sono state
realizzate altre tesi di laurea sul riuso della linea, che nell’ex
stazione di S. Martino al Tagliamento fu realizzato uno spettacolo
teatrale e tanto altro ancora che, saturi dalla fatica, non riusciamo ad
immagazzinare. Una vera e propria enciclopedia vivente oltre che un
documentarista eccezionale. Può vantare infatti una preziosa raccolta di
materiali, documenti e foto riguardo la tratta Sacile-Gemona.
Scopriremo meglio Enrico ed il suo prezioso patrimonio nei giorni
successivi, infatti continuerà a raggiungerci ad ogni fine tappa. Con
lui l’appuntamento è già per domani sera.
pubblicato il 4 luglio 2015 su "La Città Futura" settimanale on line
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